IL PRETORE
    Rilevato che all'udienza del 29 maggio 1995 i difensori di fiducia
 dell'imputato hanno chiesto il rinvio del  processo,  dichiarando  di
 aderire  all'astensione  dalle udienze - che avrebbe dovuto terminare
 il precedente giorno 27 e che invece proprio in tale  data  e'  stata
 ulteriormente prorogata;
    Rilevato  che con ordinanza in pari data la richiesta di rinvio e'
 stata respinta, giudicandosi il protrarsi della  astensione,  per  le
 sue  modalita'  ed a seguito di nuovo giudizio di bilanciamento degli
 interessi e diritti contrapposti, non piu' costituente  un  legittimo
 impedimento, ex art. 486.5 c.p.p. (v. in atti, fg. 34-38 retro);
    Rilevato  che  i difensori di fiducia hanno tuttavia confermato la
 propria  astensione  sicche',  per  dare  esecuzione  all'ordine   di
 procedersi   oltre  nel  processo  e'  stato  nominato  un  difensore
 d'ufficio, nella persona del presidente  del  locale  Ordine  forense
 (per  la  correttezza della nomina di difensore d'ufficio nel caso di
 rigetto della istanza di rinvio proposta dal difensore di fiducia, v.
 sez. 3 sent. 8168 dep. 19 luglio 1994, Nonnavecchia);
    Rilevato  che  questi   ha   dichiarato   di   aderire   anch'egli
 all'astensione,  non prestando il proprio consenso e la propria opera
 professionale per l'utile trattazione del processo;
    Rilevato  che  si  deve  prendere  atto  della  impossibilita'  di
 procedere oltre - pur essendo stati  espletati  i  rimedi  e  le  vie
 procedimentali  indicati dalle norme del codice di rito e pur essendo
 aperta la via processuale  per  la  contestazione  dei  provvedimenti
 adottati,  negli  eventuali  ulteriori  gradi  di  giudizio - e della
 ineluttabilita' di  un  ulteriore  rinvio,  con  le  valutazioni  tra
 l'altro  conseguenti  alla  constatazione  dell'avvenuta interruzione
 dell'esercizio della funzione giurisdizionale,  attesa  la  accertata
 impossibilita'  di  ottenere  la  presenza  della  invece  necessaria
 difesa;
                             O S S E R V A
    Il fenomeno della cosiddetta astensione dalle udienze da parte dei
 difensori e' privo  di  disciplina  legislativa,  differentemente  da
 quanto previsto per i pubblici dipendenti - coprotagonisti della vita
 giudiziaria  -  e  nonostante  l'aperta  sollecitazione  della  Corte
 costituzionale con la sentenza 114 del 23-31 marzo 1994.
    Non  vi  e'   quindi   una   norma   di   legge   che   legittimi,
 disciplinandola,  l'astensione dalle udienze dei difensori. Questo fa
 si'   che   manchi   una   individuazione    legislativa    esplicita
 dell'equilibrio  tra il diritto alla protesta della classe forense ed
 il diritto dello Stato e dei  cittadini  -  interessati  quali  parti
 lese,  testimoni,  consulenti  e  imputati  -  all'esercizio  il piu'
 possibile  regolare   ed   adeguato   della   fondamentale   funzione
 giurisdizionale.
    L'unica  soluzione  interpretativa allo stato possibile, e' quella
 affermata  dalla  Corte  di  cassazione  dopo   precedente   difforme
 indirizzo:   la   riconducibilita'   della  astensione  alla  nozione
 processuale di legittimo impedimento, di cui all'articolo  486.5  del
 c.p.p.  (si ricordi infatti che la Corte di cassazione, dopo iniziali
 pronunce negative - Sez. 3 sent. 7753 del 26  agosto  1985,  Decio  e
 Sez.  1, sent. 2517 del 22 febbraio 1990, Zeno - ha successivamente e
 con piu' pronunzie ricondotto tale astensione  proprio  alla  nozione
 processuale  di legittimo impedimento, di cui tratta l'art. 486.5 del
 c.p.p. - Sez. 3, sent. 8533 del 14 settembre 1993,  Capaci;  Sez.  4,
 sent.  6604  del  5  luglio  1993, Montagnoli; Sez. 3, n. 8338 del 23
 luglio 1994, Riccio -).
    A tale sussunzione si e' pervenuti ritenendo la  astensione  dalle
 udienze  esercizio  del  diritto costituzionale di manifestazione del
 pensiero, anche  in  forma  associativa,  del  quale  il  diritto  di
 protesta  e'  componente;  essa infatti non puo' essere ricondotta al
 diritto di sciopero, costituzionalmente garantito, in quanto si e' al
 di fuori di un rapporto di lavoro subordinato.
    Se  quello  e'  l'istituto  applicabile,  occorre  richiamare   la
 giurisprudenza  ad  esso  relativa,  con la conseguenza che esso deve
 innanzitutto essere tempestivamente segnalato e che lo stesso non  ha
 una   valenza   assoluta,  essendo  suscettibile  di  valutazione  il
 bilanciamento  tra  l'interesse  difensivo  e  quello  pubblico  alla
 trattazione   immediata   (v.   sia  pure  relativamente  all'impegno
 professionale concorrente Sezioni Unite dep. 24 aprile 1992, Fogliani
 e altri, in Cass. pen. 1992, pag. 1787, nonche' la sentenza Sez. 4 n.
 6604, richiamata), valutazione suscettibile  di  censura  processuale
 nelle forme delle impugnazioni (Sez. 3, sent. 8338 cit., per tutte).
    Questo  pretore  ha  ritenuto  e  ritiene  non piu' sussistente un
 legittimo impedimento idoneo ad imporre il rinvio  del  processo,  ex
 art. 486.5 del c.p.p., per due concorrenti ragioni.
    La  prima  e'  di  natura prevalentemente formale: le modalita' di
 deliberazione della astensione sono infatti  del  tutto  contrastanti
 con  i  principi che pur il legislatore ha affermato, trattando dello
 sciopero dei pubblici dipendenti nei servizi essenziali; se  e'  vero
 che  le  disposizioni  della legge 12 giugno 1990, n. 146 non possono
 avere  immediata  applicazione  nei  confronti  degli  esercenti   la
 professione  forense,  e' tuttavia evidente che quei principi debbono
 essere tenuti in considerazione  perche'  costituiscono  la  positiva
 manifestazione  del  bilanciamento,  operato  dal  legislatore, degli
 interessi confliggenti in situazioni di questo genere;  infatti  quel
 bilanciamento  e'  stato  operato  non  con  riferimento  ai soggetti
 interessati   all'astensione   dall'attivita'   lavorativa   ma   con
 riferimento  alla natura del servizio di interesse pubblico prestato.
 In questo caso,  invece,  non  vi  e'  stato  preavviso  (poiche'  la
 deliberazione  dell'astensione  e'  avvenuta  solo  al  termine della
 precedente fase, disponendone l'immediata prosecuzione),  non  vi  e'
 indicazione di termine finale certo, non vi e' indicazione adeguata e
 chiara  dei  limiti  connessi alla trattazione delle pratiche urgenti
 per  la  natura  propria   degli   atti   (provvedimenti   cautelari,
 procedimenti  con  indagati  o imputati sottoposti a misure cautelari
 personali, procedimenti per reati di non  lontana  prescrizione,  per
 esempio).
    In  particolare l'astensione in atto, deliberata il 22 aprile 1995
 con termine 6 maggio 1995, poi prorogata lo  stesso  giorno  6  senza
 interruzioni  fino  al  28  maggio,  lo  stesso  giorno  28  e' stata
 deliberata in prosecuzione. L'attuale termine risulta  essere  il  24
 giugno  p.v.  - nella delibera dell'assemblea generale degli avvocati
 italiani del 28 maggio 1995 - e "fino a che non  siano  approvati  in
 sede  parlamentare,  a  seguito dell'esame in aula, i contenuti delle
 riforme a cui si erano impegnate le forze politiche, con  riferimento
 anche  all'art.  371-bis  c.p."  -  nella  delibera dell'Unione delle
 camere penali del 27 maggio 1995 -. Non solo  nulla  viene  detto  in
 ordine   alla   indicazione  del  primo  termine  come  ultimativo  o
 suscettibile di ulteriori differimenti, cosi' come accaduto per i due
 precedenti termini (e la gia'  deliberata  convocazione  di  un'altra
 assemblea  il  giorno  24  giugno  rende evidente il carattere - allo
 stato - non ultimativo del termine stesso); ma si  manifesta  ora  la
 presenza   di  pluralita'  di  soggetti  associativi  che  deliberano
 astensioni anche non coordinate tra loro, alcune  senza  preavviso  e
 tutte  con termine finale incerto, tutte sostanzialmente rivolte agli
 stessi destinatari che volta per volta aderiscono o  possono  aderire
 per   la   pluralita'  formale  delle  appartenenze  associative  (si
 consideri che se la delibera dell'Unione  camere  penali  e'  del  27
 maggio 1995, i suoi appartenenti - in sede locale - hanno partecipato
 all'astensione gia' dal 24 aprile 1995).
    Si  deve quindi prendere atto che dal 24 aprile ad oggi sono stati
 rinviati quasi tutti i processi penali in ruolo, con  azione  che  ha
 interessato finora circa 60 udienze ed oltre 500 processi solo presso
 questa pretura circondariale, con l'occupazione dei ruoli dei mesi da
 ottobre  in  avanti,  destinati  invece  alla  trattazione  di  altri
 processi.
    La  seconda  ragione  attiene  allo  stretto merito. In assenza di
 norma  positiva,  chiamato  necessariamente  al  bilanciamento  degli
 interessi  confliggenti  (Cass.  Sez.  4,  sent.  6604 cit.), ritiene
 questo pretore che non possa essere accolta una richiesta  di  rinvio
 che,  conseguente  al  blocco totale delle udienze per oltre un mese,
 non consente tra l'altro di determinare la fissazione calibrata della
 data per la prosecuzione, posto che gia' per  due  volte  il  termine
 indicato per la cessazione e' stato prorogato, senza preavviso alcuno
 (tant'e'  che  alcuni  processi,  gia' provenienti da un primo rinvio
 determinato dalla precedente  astensione,  sono  stati  ulteriormente
 rinviati  per il mancato rispetto del termine finale indicato), e che
 non e' comunque ancora oggi indicato un termine ultimo certo  (e  tra
 l'altro  la  pluralita'  di  rivendicazioni  -  afferenti il processo
 civile, il giudice di pace, il processo penale, la separazione  delle
 carriere  dei  magistrati  requirenti  e  giudicanti, anche l'aspetto
 previdenziale  -  rende  non  facilmente  individuabile   l'obiettivo
 concreto  il  cui  conseguimento  determinerebbe  la cessazione della
 astensione).
    Ma soprattutto la richiesta non puo'  essere  accolta  perche'  e'
 assolutamente  contrastante  con  i principi costituzionali attinenti
 alla giurisdizione ed all'organizzazione dello Stato lasciare che uno
 dei  soggetti  necessari  del  processo   determini,   con   assoluta
 discrezionalita',  al  di  fuori  di  qualsiasi  fondamento normativo
 positivo e con modalita' contrarie ai principi posti dal  legislatore
 per  gli operatori pubblici coprotagonisti nella vita giudiziaria, se
 il processo puo' essere celebrato e fino a  quando  il  processo  non
 potra'  essere  celebrato,  prescindendo  del tutto dalla valutazione
 degli interessi costituzionalmente  garantiti  contrastanti  (diritto
 alla  pronuncia  giurisdizionale,  diritto  alla  pretesa  punitiva e
 risarcitoria, diritto dei cittadini terzi coinvolti nel processo alla
 regolarita' delle proprie occupazioni, buon andamento della  pubblica
 amministrazione).  L'acquiescenza  alle  modalita'  dello sviluppo di
 questa  astensione  dalle  udienze  (blocco   totale   dell'attivita'
 giudiziaria  dalla durata imprevedibile) comporterebbe l'acquiescenza
 alla paralisi della funzione giurisdizionale, con  conseguente  grave
 compromissione  di fondamentali principi che il costituente ha inteso
 affermare (Corte cost. sent. 114/94 cit.).
    E  veramente  l'esercizio   della   giurisdizione   e'   attivita'
 essenziale  dello  Stato  democratico.  Numerosi  e  rilevanti sono i
 diritti costituzionali, espressamente affermati, che  manifestano  la
 essenzialita'  della  giurisdizione:  basti  richiamare quelli di cui
 agli artt. 2,  24.1,  24.2,  101.2  e  112  Cost.  Essi  hanno  tutti
 quantomeno  pari dignita' con quello di manifestazione del pensiero e
 sono e devono essere quindi salvaguardati quantomeno come  quello.  E
 che tali diritti debbano essere salvaguardati, evitando l'impedimento
 del  pieno  esercizio  della  funzione  giurisdizionale,  funzione  a
 risalto  primario  nell'ordinamento  dello  Stato,  e'   gia'   stato
 affermato dalla stessa Corte costituzionale, con la sentenza 114/1994
 (in Gazzetta Ufficiale 13 aprile 1994, n. 16, 1a serie speciale).
    Il protrarsi della astensione dalle udienze per piu' di due mesi e
 le  modalita'  di  tale  protrarsi,  determinando  il  blocco di ogni
 processo gia'  fissato  ed  il  suo  rinvio  incerto  su  ruoli  gia'
 destinati  alla  trattazione  di  altri  processi  -  senza  piu'  la
 possibilita' di dare applicazione  organica  e  doverosa  alle  norme
 afferenti   l'organizzazione   delle   udienze  quale  delineata  dal
 legislatore,  ex  artt. 132 e 160 disp. att. c.p.p., 477, c.p.p. - e'
 fatto tale da provocare tra l'altro grave e difficilmente  riparabile
 pregiudizio  all'esercizio  ordinario  della  giurisdizione in questo
 ufficio, contribuendo  a  far  saltare  gli  sforzi  congiunti  degli
 operatori   delle   varie   categorie   professionali  interessate  -
 magistrati, personale di cancelleria, appartenenti all'ordine forense
 -  che  stavano  consentendo  il  raggiungimento  di  un   efficiente
 ancorche' ovviamente migliorabile esercizio della giurisdizione.
    E'   inoltre   da   evidenziare   come  non  essendo  il  fenomeno
 disciplinato per legge e non essendo quindi, tra l'altro, prevista la
 sospensione  della  prescrizione  dei  reati  per  i  quali  si  deve
 procedere,  gli  inevitabili  rinvii  comportano il decorso di almeno
 cinque sei mesi di prescrizione, realta'  di  grave  pregiudizio  per
 l'interesse  pubblico  alla persecuzione di fatti antisociali (ove al
 termine  del  processo  risultasse   accertata   la   responsabilita'
 dell'imputato;),   specialmente   tenuto   conto   dei   termini   di
 prescrizione per i reati pretorili, soprattutto contravvenzionali  (e
 si  noti  incidentalmente  che  nel  caso di assoluzione il cittadino
 imputato  si  ritrova  con  permanenti  pendenze   giudiziarie,   che
 avrebbero potuto essere subito definite). E' ovvio, la considerazione
 e' probabilmente ultronea ma giova ricordarla, che quando si parla di
 prescrizione  occorre avere riguardo alla possibilita' che intervenga
 una pronuncia di merito definitiva  prima  della  estinzione  per  la
 prescrizione.
    A fronte delle modalita' della deliberazione di questa astensione,
 della  esposta gravita' delle conseguenze della sua protrazione dalla
 durata allo stato - per le ragioni indicate - imprevedibile,  per  il
 pregiudizio   rilevante   recato   ai   ricordati   numerosi  diritti
 costituzionalmente  garantiti,  il   giudice   ha   preso   posizione
 processuale,  essendo  a  cio'  chiamato dal doveroso esercizio della
 propria funzione.
    Si pone ora  una  ulteriore  questione,  attesa  la  condotta  del
 difensore  nominato  d'ufficio  per  lo  svolgimento della necessaria
 attivita'  defensionale,  in  assenza  della  quale   e'   interrotto
 l'esercizio stesso della giurisdizione. La reiterata dichiarazione di
 astensione  di  fatto  costituisce  rifiuto a prestare oggi la difesa
 d'ufficio richiesta, e cio' pur  dopo  la  motivata  reiezione  della
 richiesta  di  rinvio,  con la quale si e gia' ritenuto che in questo
 processo quella dichiarazione non costituisce legittimo impedimento e
 nonostante che avverso  tale  pronuncia  sia  consentito  il  rimedio
 processuale dell'impugnazione.
    La  questione  che  si  pone e' quindi quella della legittimita' e
 della liceita' della condotta del difensore che,  nominato  d'ufficio
 dopo  che  una  richiesta  del  difensore  di  fiducia  di rinvio per
 impedimento sia stata respinta, rifiuti di prestare la propria opera,
 richiamandosi  al  medesimo  impedimento.  In  particolare,   occorre
 evidenziare,  va  considerata la posizione di colui che, anche per il
 ruolo istituzionale che interpreta,  rappresenta  l'ultimo  che  puo'
 essere  alfine  chiamato  per  garantire la presenza della difesa nel
 processo.
    A giudizio del pretore questa condotta di rifiuto  deve  ritenersi
 illegittima  ed  illecita:  essendo  possibili rimedi endoprocessuali
 avverso l'operato del giudicante, con la sottoposizione delle proprie
 ragioni ai giudici delle fasi di impugnazioni, ed  essendo  l'obbligo
 giuridico  del  difensore  d'ufficio di prestare la propria attivita'
 immanente a  tutta  la  sistematica  processualpenalista  e  comunque
 esplicitamente  affermato  (  ex  artt. 97.5 c.p.p. e 29.6 disp. att.
 c.p.p.),  il  rifiuto  dell'ultimo  possibile  difensore  rappresenta
 condotta  oggettivamente eversiva del sistema stesso. La disposizione
 dell'art.  14  del  decreto-legge  14  luglio  1990,  n.   440,   non
 convertito,  si poneva in tal senso quale interpretazione autentica e
 conferma di questo principio sistematico indefettibile.
    Non  appare  infatti  corretto  il  ritenere  che,   non   essendo
 l'esercizio  di  un  diritto regolato per legge, tale esercizio possa
 avvenire in modo assoluto, venendo cosi' quel diritto posto di  fatto
 al  vertice  di  tutti  i  diritti  ed  interessi  costituzionalmente
 garantiti.
    A questo punto il pretore dovrebbe quindi rinviare il  processo  e
 non   esimersi   dalla   doverosa   segnalazione   della   situazione
 determinatasi al procuratore della Repubblica.
    Va pero' prima  esperito  un  ultimo  tentativo  processuale,  per
 evitare  l'interruzione traumatica del processo. E' di tutta evidenza
 che la condotta del difensore d'ufficio nominato risponda ad adesione
 e solidarieta' di categoria ed interessi politici, e che, quindi,  il
 rifiuto   sia   determinato  dalla  convinzione  o  quantomeno  dalla
 affermazione della esistenza di un diritto costituzionale di protesta
 di  tale  ampiezza  ed  estensione  da  giustificare  comunque  anche
 l'inottemperanza  agli  obblighi specifici che la legge pone a carico
 del difensore d'ufficio.
    E' gia' detto che tale prospettazione va, a convinto giudizio  del
 pretore e per le ragioni esposte, decisamente respinto.
    Tuttavia,  nell'estremo  tentativo  di  contenere  una  altrimenti
 inevitabile oggettiva contrapposizione tra  categorie  professionali,
 quella  dei  magistrati  e  quella  degli  esercenti  la  professione
 forense, che - come con felice espressione  e'  stato  detto  -  sono
 condannate  a vivere insieme e la cui concorde fattiva collaborazione
 e'  indispensabile  per   l'efficace   quotidiano   esercizio   della
 giurisdizione,  va richiesto l'intervento della Corte costituzionale,
 unico soggetto istituzionale che, nella  permanente  sordita'  e  nel
 disinteresse  del  legislatore,  puo'  contribuire  alla  regolazione
 endoprocessuale del contrasto.
    Appare infatti non manifestamente  infondata  la  questione  della
 legittimita'  costituzionale  del  combinato disposto degli artt. 97,
 486.5 c.p.p., 29  disp.  att.  c.p.p.  nella  parte  in  cui  -  come
 evidentemente  interpretato dal difensore - consentono di ritenere la
 dichiarazione di adesione ad una astensione dalle udienze, deliberata
 dalle associazioni di categoria senza congruo preavviso e con termine
 finale indeterminato e comunque incerto, legittimo impedimento  anche
 dell'(ultimo  possibile)  difensore d'ufficio. Le condizioni minimali
 del preavviso congruo e  del  termine  finale  certo  risultano  gia'
 esplicitamente  affermate  dal  legislatore  in  situazioni del tutto
 analoghe,  sicche'  la  loro  individuazione   non   e'   frutto   di
 discrezionalita'.
    Una tale interpretazione sembra contrastare:
      con  l'art.  2  Cost.,  perche' idonea a determinare la paralisi
 della funzione giurisdizionale, privando ogni cittadino della  tutela
 che,  in  quanto tale e prescindendo da concreti specifici interessi,
 gli deriva dall'ordinato funzionamento della giurisdizione;
      con  l'art.  24.1  Cost.,  perche' determina grave perturbamento
 della possibilita' di agire in giudizio a tutela dei  propri  diritti
 ed interessi legittimi;
      con l'art. 24.2 Cost., perche' vanifica l'inviolabile diritto di
 difesa in ogni stato e grado del procedimento;
      con  l'art. 35.1 Cost., perche' - determinando successivi rinvii
 delle udienze - comporta  grave  turbamento  alla  regolarita'  delle
 occupazioni  lavorative  dei  cittadini, coinvolti nel processo quali
 testimoni, consulenti, persone offese ed imputati;
      con l'art. 97 Cost., perche' - impedendo l'applicazione adeguata
 e coordinata degli artt. 132 e 160 disp. att. c.p.p.,  477  c.p.p.  -
 determina   un   disordine   crescente   nei  modi  e  nei  tempi  di
 organizzazione  della  celebrazione  dei  processi  penali,  con  una
 assoluta  disarticolazione  delle prassi e dei principi seguiti sulla
 base  delle  indicate  norme  positive  (si  consideri,   come   gia'
 accennato,  che alcuni processi gia' provenienti da precedenti rinvii
 disposti  in  relazione  ai  termini  inizialmente  comunicati  dagli
 astenuti sono stati ulteriormente rinviati, con evidenti implicazioni
 organizzative,   di   dispendio   ed  incertezza,  e  la  conseguente
 impossibilita' di una gestione razionale del ruolo, attenta anche  al
 rispetto   del   tempo  e  della  liberta'  dei  cittadini  che  sono
 interessati alla trattazione);
      con l'art. 101.2 Cost., perche' impedisce lo  svolgimento  della
 funzione giurisdizionale senza che questo sia previsto per legge;
      con  l'art.  112  Cost.,  perche'  -  non  essendo  prevista  la
 sospensione del decorso della prescrizione - contribuisce ad impedire
 l'accertamento di  merito  che  e'  la  conseguenza  immediata  della
 previsione di obbligatorieta' dell'azione penale.
    La  questione  e'  altresi'  rilevante  nel  presente giudizio. Se
 infatti la Corte si pronunciasse, sia pure in  sede  di  motivazione,
 sulla legittimita' della condotta del difensore, il processo potrebbe
 utilmente   procedere.  Nel  caso  di  indicazioni  nel  senso  della
 illegittimita' della stessa, infatti, deve ritenersi che - anche  per
 il  ruolo  istituzionale  rivestito  -  il  difensore  si adeguerebbe
 revocando il rifiuto a svolgere la propria necessaria  funzione;  nel
 caso  di indicazioni nel senso della legittimita' di quella condotta,
 sarebbe il pretore a prenderne  il  doveroso  atto,  cosi'  rinviando
 senza  alcun  problema  e  soprattutto  evitando una non piu' fondata
 trasmissione di atti al pubblico ministero.
    Vanno adottati i conseguenziali provvedimenti ordinatori.